Il koan è il paradosso dei meditatori zen, il “non pensare” per guardare le cose per quelle che sono

Giuseppe Ursino

Giuseppe Ursino

Di: Tiziano Terzani

Un giovane monaco vede i suoi colleghi più anziani entrare ogni mattina e ogni sera nella stanza del capo monaco Mokurai (Tuono Silenzioso). Il giovane monaco è geloso perché capisce che Mokurai dà agli altri monaci delle speciali istruzioni sulla meditazione. Una mattina si fa coraggio ed entra anche lui da Mokurai. “Tu no, sei troppo giovane, vai via” dice il capo monaco vedendolo. Ma il ragazzino insiste e il vecchio cede: “Torna stasera”. Alla sera il giovane monaco arriva alla porta di Mokurai, batte tre volte il gong ed entra nella cella. L’anziano monaco gli dice soltanto: “Tu sai ascoltare il suono di due mani che applaudono? Bene, qual è allora il suono di una sola mano che applaude? Torna quando hai la risposta”. Il ragazzo è perplesso e ogni giorno torna da Mokurai con una diversa risposta: è il suono d’una goccia d’acqua che cade sulla pietra, è la musica di una geisha, il soffio del vento,… Tanti suoni diversi, ma tutti sbagliati, nessuno è il suono di una mano che applaude. Il giovane monaco soffre, pensa, si dispera. Il suo patire dura più di un anno. Ogni giorno ripassa tutti i suoni, finché una mattina li trascende tutti e corre da Mokurai. “Maestro, ho trovato: è il suono che non ha suoni, il silenzio.”
Bravo, il giovane monaco! Quello è il suono di una sola mano che applaude. La soluzione è ovvia, ma arrivarci è stato difficilissimo e questo è il vero scopo del koan, del paradosso dei meditatori zen con cui la mente razionale non riesce a fare i conti. Il segreto non sta nella soluzione, ma nel processo che ha occupato la mente. In cerca della soluzione il giovane monaco ha dovuto affrontare varie emozioni, dall’arroganza alla rabbia, alla disperazione, all’odio verso il maestro, fino ad arrivare alla serenità che ha spinto la sua mente al di là del solito lineare modo di ragionare, le ha permesso di pensare diversamente, di “non pensare” e di guardare le cose per quelle che sono. (Tiziano Terzani)

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