Riforma del mercato del lavoro, modello italiano e anglosassone

Giuseppe Ursino

Giuseppe Ursino

Per la proposta di riforma del mercato del lavoro la delusione e l’imbarazzo da parte delle istituzioni internazionali sono la cartina di tornasole del fatto che aggiustare un’architettura obsoleta fatta di incrostazioni accumulate l’una sull’altra, figlie di una politica irresponsabile e di sindacati colpevoli tanto quanto la classe politica, non può che portare all’elefante che partorisce il topolino. La rigidità del mercato del lavoro rimarrà, continuando ad indebolire le imprese italiane. Anzi, per le piccole e medie imprese gli svantaggi competitivi aumenteranno perché crescerà l’indennità di licenziamento rispetto all’attuale. Con le presunzioni sulle partite IVA molti torneranno al “nero”, rendendo l’intero sistema più fragile, arcaico e meno competitivo. Anche le collaborazioni coordinate e continuative diventeranno più costose, rigide e burocratizzate. C’è proprio un accanimento verso il settore privato, mentre tutti sanno che il vero cancro dell’Italia sta nella pubblica amministrazione che, invece, non viene scalfita e vive sonnecchiando nella propria mediocrità ed incompetenza. È probabile che aumenterà il contenzioso del lavoro che lascerà ai magistrati, troppo spesso orientati ideologicamente, l’ultima parola sui licenziamenti.
Mi domando perché non prendere a paradigma il mondo anglosassone, dove i lavoratori guadagnano di più e cambiano datore di lavoro al cambiamento degli scenari senza per questo farne una questione esistenziale, sapendo che in un mercato fluido si riposizioneranno velocemente.

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