La mancanza di meritocrazia nella pubblica amministrazione italiana ha portato ad una scarsa attrattività del settore pubblico per le risorse umane più qualificate e ad una demotivazione dei dipendenti pubblici.
Ogni qualvolta alcuni governi hanno timidamente provato a introdurre il valore del merito all’interno dell’apparato pubblico sono stati stoppati da una forte reazione da parte dei sindacati e degli stessi funzionari pubblici.
L’idea che possa nascere una competizione interna, per combattere le lungaggini burocratiche e le tante disfunzionalità dentro la PA, è stata finora malvista da buona parte dei funzionari pubblici che continuano a preferire un salario accessorio spalmato su tutti i dipendenti e progressioni economiche correlate all’anzianità di servizio.
Anche la Corte dei Conti ha evidenziato le vistose criticità nel sistema premiale della pubblica amministrazione con un patologico “appiattimento verso l’alto delle valutazioni del personale” e l’assegnazione dei premi al di là di ogni presupposto meritocratico.
Ma ad oggi i 3 milioni e trecentomila funzionari pubblici si sono sempre opposti ad ogni riforma meritocratica.
A tutto ciò aggiungo quanto scritto nel recente rapporto dell’OCSE che ha rilevato come oltre un terzo degli adulti italiani si trovi in una condizione di analfabetismo funzionale, ovvero è incapace di comprendere testi complessi o applicare concetti di base. Quest’endemico analfabetismo funzionale non può che influire pesantemente sulla capacità dei dipendenti pubblici di svolgere efficacemente le proprie mansioni, limitando la qualità dei servizi offerti ai cittadini che, quindi, da una parte pagano un’altissima tassazione, dall’altra ricevono servizi pubblici scadenti.
Ed è facile dedurre che la mancanza di meritocrazia e l’analfabetismo funzionale si alimentano reciprocamente, da una parte i sistemi di valutazione inconsistenti e dall’altra l’assenza di incentivi basati sul merito disincentivano senza dubbio lo sviluppo professionale e l’acquisizione di competenze avanzate tra i dipendenti pubblici.
L’Italia dovrebbe prendere esempio da Finlandia, Norvegia, Danimarca e Svezia. Secondo il “Meritometro”, l’indicatore sviluppato dal Forum della Meritocrazia, i Paesi scandinavi si distinguono per le loro elevate performance meritocratiche, eccellendo in aspetti quali la qualità del sistema educativo, la trasparenza amministrativa e l’attrattività per i talenti.
Mentre, secondo il “Meritometro”, l’Italia è all’ultimo posto tra i Paesi europei analizzati, dimostrando ancora una volta le sue ataviche difficoltà in settori come la trasparenza, la qualità del sistema educativo e le pari opportunità.
Questo indigeribile dato avvicina come modus operandi l’Italia a molti Paesi in via di sviluppo, in cui corruzione, mancanza di risorse per implementare sistemi di valutazione efficaci e nepotismo hanno impedito l’affermarsi di una pubblica amministrazione basata sul merito.
La consolidata inefficienza della pubblica amministrazione italiana ha inoltre un impatto enorme sulla capacità del Paese di generare prodotto interno lordo, ricchezza e occupazione.
Basta leggere l’analisi dell’Ufficio Studi della CGIA di Mestre che quantifica i costi derivanti da sprechi, sperperi e inefficienze della PA all’incredibile cifra di 200 miliardi di euro all’anno. Se si sommano i folli costi annui che devono sostenere le imprese italiane per gestire le procedure amministrative (57 miliardi di euro), i ritardi nei pagamenti ai fornitori che impattano sulla liquidità delle aziende (53 miliardi di euro), la lentezza del sistema giudiziario che comporta una perdita stimata in 40 miliardi di euro, il deficit logistico-infrastrutturale che penalizza l’economia per almeno 40 miliardi di euro, i conti tornano.
Un altro rapporto OCSE sottolinea come l’efficienza della PA è una priorità essenziale per la ripresa economica dell’Italia, ma non sembra importare molto. Poco se ne parla sui giornali, in TV, nel governo o in parlamento. Davanti a questa indifferenza verso la più perniciosa anomalia del sistema Italia, come se l’Italia assomigliasse alla Danimarca (migliore al mondo per l’Indice di Percezione della Corruzione 2023 di Transparency International), rimango perplesso.
Ci vorrebbe un cambiamento radicale che può esser ottenuto solo da un’azione sinergica tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario, i quali dovrebbero condividere la necessità di questa rivoluzione mentale e far quadrato davanti agli attacchi che arriverebbero da chi da sempre è ideologicamente agguerrito a difesa dello status quo.