I dati delle istituzioni economiche internazionali condannano l'Italia su tanti fronti

Giuseppe Ursino

Giuseppe Ursino

Ce la possiamo permettere una classe dirigente che considera i propri privilegi una variabile indipendente dai risultati?
Ce lo possiamo permettere un Paese dove i nonni, con le loro pensioni retributive o d’oro, rubano risorse ai nipoti?
Che nella pubblica amministrazione l’unico criterio sia l’anzianità, senza alcuna correlazione fra la dinamica retributiva e la valutazione del merito individuale?
Ci possiamo permettere una scuola dove i docenti lavorano 594 ore contro una media OCSE di 704 ore (in pratica un giorno in meno a settimana)?
Ci possiamo permettere una durata media del processo per un contratto non rispettato di 1.210 giorni contro i 190 giorni della Danimarca?
Il PIL pro capite italiano è sceso rispetto alla media dell’area euro, da 105 nel 1988 a 94 nel 2007.
Nell’attrazione degli investimenti esteri (IDE) siamo in caduta libera scendendo dal 18° posto del 1990 al 25° posto del 2000 fino al 29° posto del 2005.
Negli ultimi dieci anni la quota italiana del mercato mondiale è precipitata del 40%, soprattutto per un aumento del costo del lavoro per unità di prodotto salito fra il 1996 e il 2005 del 20% contro un calo del 10% in Francia e Germania.

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