È il tempo di una rivoluzione dolce a Catania. Senza vendette verso i volti noti della malapolitica e della malaburocrazia, ma con placida serenità e assoluta determinazione. Ricordo quando nel 1989 andavo all’università e volevo cambiare il mondo. Detestando il comunismo ed essendo cristiano, mi lanciai nel rinnovamento della Democrazia Cristiana (anche se non ho mai preso la tessera del partito). Allora a Catania il “rinnovatore” era il giovane Lombardo, che sembrava mosso dalla voglia di resettare la DC e noi ragazzi gli davamo fiducia. Ricordo con piacere che con un gruppo di ragazzacci occupammo nel 1991 la sede della DC dormendoci dentro. In quegli anni il mondo era incartato in due blocchi. Per cui per cambiare le istituzioni l’unica possibilità concreta era fare pushing dall’interno nella DC. Così nel ’91 andai alla Conferenza Organizzativa della Democrazia Cristiana a Milano per sputtanare la gestione del partito catanese. Faceva molto freddo e ricordo che quando diedi all’ingresso un volantino ironico e irriverente al dominus del tempo Andreotti, mi guardò a modo suo e dopo pochi minuti fui bloccato dalla Digos che mi chiese il documento di riconoscimento e spiegazioni del mio comportamento, un’esperienza.
Laureatomi nel ’92 lasciai la politica giovanile concentrandomi sulla carriera lavorativa. Non ricordo più chi, ma qualcuno nel ’93 mi presentò padre Ennio Pintacuda che si “innamorò” di me e voleva coinvolgermi in politica nella Rete. Gli spiegai che non credevo nella sinistra militante in quel Movimento. Rimanemmo buoni amici e quando veniva a Catania, mi chiamava spesso per salutarci e parlare di politica, mi affezionai a lui. Quando nel 1994 Berlusconi scese in campo io ero al Nene College di Northampton, dove passai sei splendidi mesi. Dall’estero, non subendo il condizionamento che gli italiani ebbero da TV e giornali, non mi capacitavo di quel che stava accadendo in Italia, mentre già allora il mondo ci massacrava per l’incapacità italiana di dotarsi di una classe dirigente all’altezza della sfida dei tempi. Al mio rientro a Catania sembravano tutti ipnotizzati da Berlusconi. Me ne andai a Roma per chiudere il cerchio della mia formazione e lì nacque un’altra affinità elettiva con un personaggio in gamba e perbene che a Catania si è poi speso in politica, Antonio Scalia. Tornando a Catania nel 1995, mi misi in un primo momento a fare il professionista. Il tempo di irrobustirmi le spalle e poi mi presi un piacere: rottamare dall’Ordine il dominus dei dottori commercialisti catanesi. Un certo Siciliano che per tensione etica ed eleganza istituzionale faceva apparire certi romanacci dei gentiluomini. Eppure a Catania, terra di yesman, erano tutti lì a reggergli la coda, fatto per me inspiegabile. Quell’esperienza nell’Ordine professionale mi fece capire che io ero, per energia vitale e capacità di visione, un imprenditore più che un tecnico, così spostai il mio focus su Confindustria. Anche lì mi passai dei piaceri, ma soprattutto con gli anni capii che quell’organizzazione era autoreferenziale, sia perché in percentuale gli iscritti erano pochi rispetto al totale del mondo imprenditoriale, sia perché la selezione all’interno non era meritocratica e trasparente, ma si andava avanti per cooptazione, i presidenti territoriali rispondevano solo al potere nazionale e le sezioni territoriali erano delle filiali eterodirette da Roma più che centri di rappresentanza degli imprenditori locali. Quando sul fotovoltaico Confindustria Sicilia fece da sponda al governo Berlusconi filo-nordista che assestò un colpo mortale al settore delle energie rinnovabili (e quindi ad uno dei pochi settori in crescita in Sicilia), la misura fu colma e, dopo un periodo di metabolizzazione, a fine 2011 mi dimisi da vicepresidente nazionale di Assoconsult – Confindustria.
Coinvolgendo altri amici imprenditori e manager aziendali mi dedicai a fondare a Catania l’aggregazione “Il Tavolo per le imprese” con questo concept: “La ragione di questa aggregazione apartitica sta nella virtuosa reazione ad uno scenario difficile, puntando a dare quale opinion maker alla cultura d’impresa un ruolo trainante nella società, partendo dalla considerazione che solo uomini che creano valore e stanno sul territorio possono rappresentarne le aspirazioni.” Al “Tavolo per le imprese” finalmente non si parla più di elezioni nelle sezioni merceologiche, di titoli autoreferenziali e di altre cose inutili e nei meeting si comincia a trattare come un malato il caso Catania, città che potrebbe essere un centro propulsivo di benessere sociale e di innovazione ed invece è una città moribonda, con una disoccupazione in continua crescita e nessuna visione positiva del proprio futuro. Probabilmente i responsabili politici dello sfascio catanese concluderanno il loro desolante ciclo di potere e spero che Ciancio, che tante responsabilità ha avuto negli ultimi trent’anni nel dare visibilità e sponda mediatica a personaggi squallidi, non si metta in testa di essere sempre lui a dare le carte. Dato che non è un giovanetto, si riposi un po’ e dia spazio ai suoi figli, affinché facciano gli editori puri e diano finalmente un servizio di informazione al di sopra delle parti. In ogni caso i tempi sono cambiati e per fortuna non tornerà più il monopolio informativo. Oggi le web news sono più lette dei giornali cartacei che arrivano sempre con un giorno di ritardo. Solo gli anziani e i non scolarizzati rimangono legati al foglio di carta.
Come avviene nei Paesi più civili, auspico per Catania un’alleanza strategica tra la buona economia (che non c’entra nulla con la speculazione immobiliare) e la buona politica, perché l’una ha bisogno dell’altra. I quarantenni di oggi mandino a casa gli zombie che ancora si agitano sullo scenario politico, senza aspettare che il lavoro sporco lo faccia la magistratura. Se non ci riuscissero per inettitudine, allora gli operatori economici illuminati dovranno saltare una generazione e rivolgersi ai trentenni.
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Giuseppe Ursino
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