Mio intervento sul giornale La Sicilia il 5/9/2007
L’economia ci pone di fronte ad una guerra culturale (quella sulla meritocrazia, sul talento e sul rendimento) che per senso di responsabilità non possiamo perdere. E per vincere questa sfida occorre lavorare affinché la parte migliore della società si identifichi con le élite. In quest’ottica è essenziale curare il senso della moderazione che significa coltivare la capacità di ascolto e di dialogo, segno non di debolezza, ma di forza, pacatezza ed equilibrio. Essenziale è vivere il rigore dei comportamenti quale fondamento della propria autorevolezza. In questo contesto è tempo che le élite lascino al proprio destino, senza patologiche complicità, quelle fasce di lavoratori che a fine mese non incassano uno stipendio, ma un sussidio, generosamente distribuito dalla Repubblica Italiana. E così superare alcune lampanti ingiustizie: oggi un lavoratore che smazza per 10 ore al giorno può guadagnare quanto ciurme di scansafatiche, per un’impropria visione italiana del termine uguaglianza? È accettabile il fatto che se rubi sul tuo lavoro e vieni colto con le mani nel sacco e ti condannano, appena esci lo Stato italiano impone al tuo datore di lavoro di reinserirti nella sua azienda? È accettabile il fatto che se decidi di essere svogliato e di darti continuamente assente, nessuno può obbligarti a lavorare o può licenziarti? O se commetti dei crimini anche gravi, dopo poco tempo sei di nuovo a piede libero, per un’impropria visione italiana del termine garantismo?
Ci sono nella pubblica amministrazione migliaia di dirigenti che non dirigono nessuno, fanno i normali impiegati, non rischiano nulla, ma guadagnano da dirigenti e cioè tre volte quanto altre persone che fanno la stessa tipologia di lavoro di impiegato.
Considerando questi sprechi e ingiustizie sociali, a una società che sta dimostrando poco senso dello Stato e della legalità non rimane con pragmatismo altra scelta che ridimensionare con privatizzazioni e deregolamentazioni il peso della politica e della pubblica amministrazione nella vita economica e sociale.
È anche tempo che le élite lascino al proprio destino quelle imprese che in maniera spregiudicata lavorano fuori dalle regole del gioco, creando concorrenza sleale e dimostrando quanto ancora primitiva è la nostra economia.
È tempo che le élite asciughino l’acqua in cui nuotano alcune bande politico-criminali che, abusando dell’ingenuo supporto elettorale di tanta gente, hanno acquisito quei ruoli istituzionali che giorno dopo giorno creano frustrazione, povertà e pessimismo sul futuro. Sembrano cavallette fameliche alle quali, se la magistratura dormiente non è riuscita a mettere un freno, è ormai tempo che siano le élite a giocare il ruolo che purtroppo, per evidente incapacità, non riescono a giocare le opposizioni politiche. La democrazia, infatti, non si autoalimenta, non è autosufficiente, anzi, come per ogni altro regime politico, la durata non è disgiunta da una certa decadenza, per cui per mantenere un tessuto etico ha bisogno dell’apporto delle élite morali e culturali. Bisogna riappropriarsi del gusto della politica, che non può prescindere da ideali, passioni e valori morali. È il raggiungimento del potere quale strumento per far vivere le proprie convinzioni. Uno dei suoi compiti principali è creare benessere diffuso, perché la libertà non accompagnata da autonomia economica è una finta libertà, l’individuo in tal caso è libero di diritto e schiavo di fatto. Forse è proprio per questo che certi politici ci donano da decenni solo povertà e disoccupazione.