Nella storia dell’uomo la tecnologia ha sempre cambiato il mondo. Lo ha fatto nel 18° secolo con le macchine a vapore che, superando i limiti fisici degli uomini, hanno portato alle produzioni su larga scala e alla nascita delle grandi città industriali. Lo sta nuovamente facendo con la digital transformation in questi anni superando questa volta non più i limiti fisici degli uomini, ma quelli cognitivi, aprendo così l’umanità a scenari fino a ieri impensabili. E una delle prime conseguenze è che molti lavori a basso ingaggio cognitivo, soprattutto quelli ripetitivi, vengono e verranno sempre più automatizzati.
Davanti a questi cambiamenti ci sono profili umani e fasce sociali che si prendono di paura e iniziano battaglie culturali contro il progresso tecnologico che inevitabilmente per loro rimarranno perdenti. Un esempio del passato che mi fa sorridere, per far comprendere quanto questo humus culturale sia forte in Italia, è stato l’arrivo in Italia della TV a colori con 10 anni di ritardo rispetto al resto d’Europa. Ritardo non dovuto a problemi tecnologici, ma per una resistenza al cambiamento ed una strenua difesa della TV in bianco e nero, soprattutto dell’allora PCI. Ed il paradosso è che il mio Paese è enormemente ricco di inventori, penso a Guglielmo Marconi per la radio, Antonio Meucci per il telefono, Federico Faggin per il touchscreen, Leonardo Chiariglione per gli MP3 o Bruno Murari per gli accelerometri, mentre rimane sempre in gran ritardo nell’adottare ogni genere di innovazione! Ritardi dovuti a una resistenza al cambiamento figlia di un conformismo radicato nel ceto dirigente del Paese. Così, chi ha una marcia in più finisce per pagare quella mediocrità che emargina e spesso deride coloro che hanno le capacità di andare oltre l’ordinaria amministrazione per visione e pensiero laterale. Triste ricordare che nessuna delle invenzioni fatte dagli italiani accennati prima è stata sviluppata nel nostro Paese. Nel dialetto siciliano si dice “cu nesci arrinesci” (chi se ne va, ha successo) e non è certo un complimento!
Una delle immediate conseguenze di questo basso tasso di tecnologia nel lavoro di tanti italiani è la bassa produttività con un CLUP (costo del lavoro per unità di prodotto) tra i più alti in Europa. Sicuramente la bassa produttività è figlia anche di altre criticità (rendite di posizione, burocrazia, infrastrutture,…), fatto sta che questa mancanza di capacità competitiva costringe in Italia a tener bassi i salari.
Quindi un cambiamento di humus culturale a favore della digital transformation sarebbe una leva per lo sviluppo economico importantissima. E proprio su un certo conservatorismo ognuno dovrebbe farsi un esame di coscienza, perché un altro guaio italiano è che pensiamo che sia tutta responsabilità collettiva autoassolvendoci, mentre dovremmo prendere esempio da altre culture che sin da subito formano i bambini alla responsabilità personale.
Nella storia i grandi cambiamenti sono avvenuti sempre a seguito di guerre o pandemie. Quindi il covid-19 potrebbe essere un’opportunità da non sprecare. Da una parte cresceranno le forze reazionarie, sempre temibili e trasversali, che propugneranno un paese arroccato sul passato, dall’altro prenderà forma il “nuovo mondo” con ecosistemi che utilizzeranno il 5G e l’intelligenza artificiale per farci vivere nelle smart city alcuni di quegli scenari che siamo abituati a vedere nei film di fantascienza.
Per dar un contributo a Catania nella direzione di questo necessario cambio di mentalità all’interno del JO Group ho da poco ridisegnato la mission della non profit JO Education, facendone l’Innovation Hub Catania, un vivaio di talenti vocati alla digital transformation. Punteremo a creare tendenza, perché chi fa il mio mestiere sente anche un dovere morale nell’indicare una direzione di marcia per uscire dal sottosviluppo economico e culturale ed io non mi sono mai sottratto, anche se a volte potrebbe apparire che ogni sforzo è inutile e ti senti incompreso, ma anche questo fa parte del gioco.
Spingere verso il nuovo mondo figlio della digital transformation
Giuseppe Ursino
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Giuseppe Ursino
CEO del JO Group, cluster di aziende nato nel 1998 con core business in digital transformation e consulenza su fondi europei
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